GLI AMARETTI DI MOMBARUZZO

Un piemontese e una siciliana, la capacità e la fantasia, la Casa Reale e il paese di Mombaruzzo. Questi fondamentalmente gli ingredienti della storia del tipico dolce Mombaruzzese che tanto piace anche ai giorni nostri e che è nato, molto probabilmente, dall’amore.
Siamo alla fine del 1700 e la storia, o forse leggenda, vuole che l’economo di casa Savoia in servizio presso la Reggia di Venaria Reale s’innamori di una fanciulla siciliana anch’essa alle dipendenze del Re in qualità di pasticcera. Lui è Francesco Moriondo, originario del piccolo Comune di Mombaruzzo in Provincia di Asti, lei, il nome non lo sappiamo, è specializzata nella lavorazione delle mandorle.

Forse fu proprio per amore del giovane che la fanciulla rivelò al ragazzo la ricetta di un particolare dolcetto. Passano gli anni e i due lasciano il casato savoiardo, si trasferiscono nel paese di lui e danno vita ad una piccola pasticceria. Il morbido dolce viene così messo in produzione e ai mombaruzzesi piace in modo particolare. Qualcuno nell’assaporare gli amaretti esclama: “oh, i son bon…i son un poc amaret”, sono buoni, sono un po' amaretti. Ed è da questa esclamazione che ne nasce l’attuale nome che tutti conosciamo.

Nel corso del tempo la ricetta, mai scritta ma sempre tramandata a voce, passò di mano ai discendenti del Moriondo, partendo da Virginio e Carlo fino ad arrivare ai giorni nostri.

Nel più recente 2016, infatti, un’altra coppia di innamorati, Alessandro Lacqua e Egle Orsi, acquistano lo storico marchio e ne ricevono tutti i segreti della ricetta da Ada e Mario Pessini, maestri “amarettai” discendenti dei Moriondo e custodi del dolce segreto.

Oggi Egle e Alessandro lavorano in modo artigianale come un tempo e portano avanti la tradizione del morbido dolce producendolo esclusivamente con mandorle, armelline, zucchero e albume d’uovo.

Prendete quindi un amaretto di Mombaruzzo, scartatelo lentamente, deliziatevi del suo profumo, assaporatelo chiudendo gli occhi e pensate che le cose buone non si perdono mai nel tempo.

Claudio Zeni

Claudio Zeni, laureato in Letterature e Lingue straniere è nel mondo del giornalismo dall’età di 18 anni. Appassionato di sport, enogastronomia e turismo collabora con media locali, nazionali ed internazionali di settore. Tra i principali riconoscimenti giornalistici assegnatigli si ricorda il premio nazionale Gennaro Paone consegnatogli a Roma dal direttore generale dell’Enit, il I.o premio giornalistico nazionale ‘Strada del Vino del Recioto e di Gambellara’, il I.o premio ‘Primavera del prosecco’, 'Amici della Chianina', 'Premio Tarlati', 'Scandiano', 'Sant'Angelo in Vado, 'Apicio', 'La bisaccia del tartufaio', 'Burson'. Per quattro anni ha seguito l’Hong Kong Food Festival e per due ha coordinato la manifestazione nazionale Top of Golf finalizzata alla proclamazione del miglior ristorante della ‘Wine Tour Cup’ dell'Associazione 'Città del Vino'. Coordinatore della giuria e dei cuochi del concorso culinario ‘Tartufo d’oro’ di Gubbio’. Unitamente al Presidente dei Cuochi di Arezzo organizza il concorso 'Penne bruciate', giornalisti ai fornelli dove a vincere è il 'piatto peggiore'. Autore con Leone Cungi del libro ‘Sport e società a Monte San Savino (Un secolo di storia sportiva e tradizioni sul borgo toscano).

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