ETIENNE BISTROT, CUCINA D'AUTORE NELLA CAPITALE

Nel residenziale quartiere Trieste

Spesso le proposte più raffinate ed interessanti si trovano nei quartieri residenziali, defilati dalla movida e dall'assalto dei turisti. Non fa eccezione la Capitale. L'indirizzo da segnare nel carnet dei buongutai è Etienne Bistrot, nel raffinato quartiere Trieste. Deus ex machina, lo chef Stefano Intraligi con trascorsi da Heinz Beck e la sua idea di cucina.

 I menu cambiano ogni due mesi e, insieme all’imprescindibile stagionalità, seguono fondamentalmente l’estro e le emozioni di Intraligi che spiega: “All’inizio, mi riferisco ai primi tempi dall’apertura di Etienne in verità avevo anche lasciato l’impostazione tipica del ristorante, dunque si poteva scegliere un percorso tra primi, secondi… ma ho subito capito che non era la strada da percorre, almeno non la mia”. 

L’esperienza all’Etienne Bistrot sollecita per tutta la sua durata le corde dell’attesa, della sorpresa inaspettata, del piatto sconosciuto che non si vede l’ora di scoprire e assaggiare. E sarà allora stupore davanti al pane di cristallo, maionese vegana al cocco e germogli di ravanelli rosa. Intraligi con questo piatto, bellissimo e minimalista, ha voluto ricreare la sensazione di mordere la tazzina di porcellana, proprio come faceva il Cappellaio nel Paese delle Meraviglie. Ma lo chef ama giocare, e anche con una buona dose d’irriverenza, con i mostri sacri della tradizione romana, come la gricia che qua diventa farcitura di perfetti palloncini di pasta fresca all’uovo, con pere e lime.

Ci si emoziona, fino ai brividi, con la rosa di rapa rossa marinata alla sambuca su crema di formaggio e mizuna corallo che arriva al tavolo insieme ad un paio di cuffie collegate ad iPod dal quale parte, Goodbye England's Rose, la struggente canzone di Elton Jhon poi riadattata nel 1997 in onore della scomparsa di Lady Diana. E dopo la pelle d’oca, ci si abbandona totalmente, abbassando tutte le sovrastrutture e gustando un piatto senza posate, senza mani ma solo con la lingua… leccandolo letteralmente; l’Asso di cuori, una rivisitazione dell’Arrabbiata. Chiusura finale affidata alla tradizione, anch’essa però cede il fianco a qualche lieve stravolgimento, come per la cassata che viene composta direttamente davanti all’ospite su un foglio trasparente come se fosse la tela di un quadro. 

A colorarla però saranno la crema alla ricotta, i canditi fatti a mano, il crumble di mandorle e la neve di mandarino. Il menu, come dicevamo prima, è stagionale e si presenta sempre attraverso percorsi degustazione al buio da 4, 6 e 10 portate che cambiano ogni 2 mesi in base alla disponibilità dell’orto.

Strutturare la proposta gastronomica in questo modo vuol dire anche essere in grado di ridurre al massimo gli sprechi, ed è esattamente ciò che accade nella cucina di Etienne. “Lavorare con soli percorsi didegustazione mi permette di rispettare con rigore il principio fondamentale zero sprechi. Che per me – spiega lo chef Intraligi - diventa ancora più determinante perché tutta la verdura e parte della frutta utilizzate per realizzare i piatti proviene dal mio orto sinergico situato nel Parco di Veio”. Grande cura per tutto il resto delle materie prime, selezionatissime e quanto più provenienti da piccole realtà del territorio.

Per quanto riguarda la cantina, una carta ben strutturata con circa 400 etichette racconta fedelmente la cura e la passione che Stefano Intraligi mette tanto in cucina quanto nella scelta dei vini, anch’essa di sua pertinenza. Si sceglierà tra tantissime etichette italiane di piccoli produttori, vini naturali, biologici e biodinamici; grandi vini di spessore internazionale ed un’eccellente selezione di vini francesi tra immancabili champagne e chicche provenienti dalla Borgogna e da Bordeaux.

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Sabino Cirulli

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