TRICASE E IL SALENTO CHE NON T'ASPETTI

La terapia del buono e del bello, fuori dai soliti schemi e dai percorsi pugliesi ormai triti, tutt'uno con il gusto sottile dell'understatement: basta puntare su Tricase, un tempo capoluogo di un esteso principato nel Salento meridionale, per abbandonare il consueto e immergersi nell'incanto taumaturgico di una solatia terra di mare e di una calda tradizione che perpetua un magnifico vissuto.

A premiare chi approda alla bella cittadina salentina, non solo la geografia - a 4 km dal mare, 55 da Lecce, 40 da Gallipoli e 30 da Otranto e, ancora, a 15 dall'estremo tacco d'Italia, Santa Maria di Leuca - ma anche e soprattutto retaggi ed espressioni culturali, gastronomiche e naturalistiche. Lontano dall'affollato e dal risaputo, spesso a tu per tu con l'inatteso.  

Ciò che si cela anzitutto negli itinerari alla scoperta della casata che nella seconda metà del milleseicento rese Tricase nobilissima: i principi Gallone, il cui Palazzo s'affaccia sulla piazza centrale, piazza Pisanelli, soprannominata a buon diritto "il Salotto" per via della caratteristica struttura e dell'architettura di epoche e stili differenti.

E poi, nel disvelarsi delle fortune patrizie, evidenti nelle preziose committenze artistiche veneziane, tuttora ammirabili nelle chiese cittadine che risplendono dei dipinti di Paolo Veronese, Jacopo Bassano, Jacopo Palma e Tintoretto junior. E, ancora, nei diffusi echi bizantini con l'inaspettato che si nasconde pure nei curiosi dettagli di miti e leggende.

La storia come una vicenda impressionante che subito si fa presente nelle segrete dell'antica Turris Magna al centro del borgo, la torre orsiniana del 1400 adiacente a Palazzo Gallone, dove sono ancora ben visibili centinaia di graffiti incisi nel corso del tempo dai prigionieri. Vi spicca il volto del giannizzero, che si fa risalire al secolo successivo, a opera di detenuti turchi ottomani.   

C'è la meraviglia dell'incanto barocco che fa pendant col tesoro veneziano del principato e, poi, ecco emergere la saga. Come nella chiesa ottagonale della Madonna di Costantinopoli conosciuta ai più come la "chiesa dei diavoli": il mito di un patto con Satana non onorato da parte del nobile tricasino che la fece costruire e il fascino oscuro di un piccolo tempio, che pure rievoca il misticismo di Castel del Monte, tappa obbligata nella campagna levantina, fra le bellezze del Parco Naturale Regionale Costa d'Otranto, Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase.

Poliedrica e ammaliante, Tricase è anche la terra dei cinque castelli, che, oltre al Palazzo Gallone, conta Lucugnano, Tutino, Caprarica e Depressa, oggi altrettante frazioni del comune, ieri cuori pulsanti di altrettanti borghi antichi; ed è il paese delle marine, Marina Serra e Tricase Porto, quest'ultimo interessato da un importante progetto di riqualificazione che prevede un pittoresco giardino vista mare a Punta Cannone e, nell'incantevole Borgo Pescatori, un albergo diffuso che ci si attende unico nel suo genere.

Un modello di accoglienza turistica che già ha mostrato la sua validità nel borgo antico, con il fiorire di confortevoli e graziosi Bed & breakfast ricavati dalla ristrutturazione di vecchie costruzioni contadine strette nell'intrico dei vicoli e delle corti del centro: tra i più caratteristici, Casa Probo e Rosa dei Venti, piccole oasi di tranquillità dalle stanze con le tipiche volte a botte e a stella.    

Senza abbandonare il centro cittadino e la piazza Pisanelli, al relax è possibile affiancare una particolare terapia liquida: prima ancora di varcare la soglia della Farmacia Balboa ci si rende conto che sarà sui generis, così come lo sono i soci di questo originalissimo locale, un tempo fucina medicamentosa, e ora affollato cocktail bar assai à la page; nondimeno il nome, preso a prestito dall'avventuriero spagnolo Vasco Núñez de Balboa, rievoca il gusto della scoperta.

Può allora capitare di vedersi servire al banco da uno dei patron, Taylor Hackford, regista di culto a stelle e strisce, marito della camaleontica Helen Mirren, attrice già premio Oscar che non di rado suole raggiungere il locale a bordo della sua vetturetta elettrica. E se il cavallo di battaglia dell'uno, navigato mixologist, è il "Don't worry, be happy" (un classico con rum anejo, rum blanco, passion fruit, ananas, lime, zucchero, dash di angostura bitter), in cima alle preferenze dell'altra c'è l'"Helen's hanky panky", tutto gin, vermut e Fernet Branca.

Accanto alla Farmacia che non ti aspetti, il wine store Castel di Salve dell'omonima cantina vitivinicola, che vale una visita anche soltanto per conoscere l'eclettico e poliglotta direttore Ernestos Karydis, già manager del blasonato museo medievale Arundel, nel Sussex occidentale. La proprietà è di un altro dei soci del Balboa, Francesco Winspeare, fratello del più noto cineasta Edoardo, l'autore di "Pizzicata", il primo film dedicato al rito della taranta, fenomeno popolare oggi in piena riscoperta.

Duecento metri dalla vineria, e la terapia del buono può trovare un altro approdo inatteso ma sicuro. È il Lemì Bar Cozze & Gin del baffuto chef Ippazio Turco, la versione easy going di un locale omonimo che già esiste dal 2005, tra i più originali dell'intero Salento: da Polpanino e Pan Bombetta al Pudding fondente passando per l'Hamburger di tonno e cipolla e il Boccaccio orata e patate, il menù che campeggia sulla lavagnetta è già tutto un programma.

Ecco la sua cifra: i piatti colorati, il gusto per il paradosso e una creatività a briglia sciolta nell'intento di valorizzare i prodotti pugliesi della terra e del mare, preparati con tecniche di cottura moderne e pure, talora, lavorati con metodi insoliti. Niente meglio di un giretto nell'impastatrice per disarticolare il polpo e renderne morbidi i tentacoli!

Una volta soddisfatti, il passare dalla cura del palato alla terapia degli occhi e dell'anima è, letteralmente, dietro l'angolo: addentrarsi nella bottega laboratorio di Agostino Branca è una continua e deliziosa sorpresa, perdendo lo sguardo fra le maioliche che hanno conquistato New York e Pechino. Dai pomi augurali alle sedute, dalle zuccheriere ai porta candela, dalle statuine angeliche alle gallinelle e alle altre creaturine portafortuna, è l'espressione conclamata di un'artigianalità che si fa coloratissima arte.

Alle forme e alle policromie delle ceramiche la missione di tenere viva l'identità e l'originalità della terra alla quale appartengono, alle tecniche e ai materiali innovativi il compito di segnarne la contemporaneità artistica e di ampliarne la versatilità d'uso e di ambientazione. Perché la raffinatezza, quella salentina soprattutto, è sempre un sollievo fuori dagli schemi.

Diego Luigi Marin

Giornalista e informatico professionista, specialista di new media e web development, già contributing editor dei quotidiani Il Giornale e Il Sole 24 Ore, direttore editoriale della testata Digital Document Magazine ed ex vicepresidente dell'Unione Italiana dei Giornalisti dell'Auto, direttore responsabile del portale letterario literary.it e managing editor della Magistranza della Cucina Euganea.

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