IL SUCCESSO DELLO CHEF EZIO GRITTI TRA SEMPLICITA', ELEGANZA E FANTASIA
S come Semplicità, C come Concretezza, I come Impegno, E come Eleganza, F come Fantasia. Ecco come Ezio Gritti, affermato e rivoluzionario cuoco bergamasco, scompone, italianizzandolo, il termine di “chief”. Cinque sostantivi che definiscono il suo impegno in cucina. «La semplicità – afferma - è il massimo dell’eleganza, perché la cosa semplice è spesso la più difficile da eseguire. Son tutti capaci a preparare un grande piatto con una materia prima costosissima. Più difficile farlo, ad esempio, con una coda di manzo». Magari in reticella, con leggera salsa alla liquirizia e menta, come talvolta propone nelle degustazioni quando il cliente gli lascia carta bianca.
Da un anno e mezzo Ezio Gritti ha intrapreso la nuova avventura a Pontida (Bg), al “Polisena L’Altro Agriturismo”, seguita ai 25 mesi nel ristorante che portava il suo nome nel cuore del capoluogo orobico. Chiusa la parentesi di tre anni nel paradiso di Bali, si trattava del ritorno a Bergamo, dove per 10 anni si è fregiato della stella Michelin all’Osteria di via Solata. A marzo 2019, conquistato dall’attività agricola biologica che rifornisce la cucina del Polisena (accogliente e integrato con l’atmosfera circostante, senza scimmiottare forzatamente la dimensione rurale), ha accettato la proposta di Tosca e Marco Locatelli. Altro asso nella manica dell’agriturismo sono i vini. La cantina è rifornita dalla casa vinicola di proprietà di famiglia, l’Azienda agricola Tosca, attiva da 19 anni e da 14 certificata come biologica, una delle più avanguardiste e ferree nell’introduzione di metodi di coltivazione naturali.
Secondo te e la tua molteplice esperienza, con i timori del Covid è aumentato l’afflusso negli agriturismi?
«Certamente sì. La gente ha voglia di godere di spazi verdi, di luce, aria pulita. Al solito ristorante di città, sia pure con distanziamento ma sempre chiuso tra traffico e smog, si preferisce uscire dai centri abitati e quindi l’alternativa naturale è l’agriturismo, che, come dice il nome stesso, è una struttura immersa nella natura, dove il buongustaio inoltre sa di trovare cibi cucinati con materie prime di qualità prodotte dall’azienda. E’ come un ritorno al passato, alle origini, alla “terra”, come presagiva Luigi Veronelli già 30-40 anni fa. Oggi gli agriturismo rappresentano l’evoluzione, certamente migliorata, delle vecchie “frasche” fuori città dove andavamo a bere un buon bicchiere di vino con pane e salame. Anche qui al Polisena abbiamo avuto una estate di gran lavoro, nonostante il Covid».
A Gritti è piaciuto molto il progetto del Polisena: ci sono gli ingredienti prodotti in proprio, che lo stesso chef raccoglie quotidianamente dall’orto e ce ne sono altri che vengono reperiti in aziende agricole certificate bio della Bergamasca (niente pesce di mare, quindi, perché non del territorio). Una base perfetta per la sua filosofia di cucina. «Non amo le mode, perché non sono arte, e non seguo i trend – ci spiega -. Amo la semplicità ma odio la banalità. Concepisco i miei piatti partendo dalla materia prima e dal rispetto verso chi ha coltivato la terra o ha allevato al meglio un animale. Bisogna togliere, togliere, togliere, che non significa mettere poco ma capire come esaltare la materia prima senza creare piatti in cui non si riescono a distinguere i sapori. La cucina è chimica: sta alla bravura del cuoco trasformarla in arte».
Esempi di piatti che incarnano bene il progetto? Maialino missoltinato (equivalente del vitello tonnato, ma realizzato con diversa carne e salsa al pesce di lago); Uovo di quaglia su crema di zucchine trombetta con olio alla clorofilla; Parmigiana alla bergamasca, senza mozzarella ma con formaggella della Val Brembana, senza farina bianca ma con farina di mais; Agnolotto alla farcia di boby, crema di patate del Polisena, crumble di pane integrale e mascherpa stagionata; Fegati e reni di coniglio spadellati al Marsala sulla “Dolcissima cipolla di Breme” e uvetta; Cervella croccanti su finissima julienne di zucchina, senape e tabasco. E potremmo andare avanti a lungo. Tra i dolci citiamo Polisena cake (finta frolla e marmellata di pesche), Soufflée glacé al mosto d’uva Merlot Tosca, Coulant al pistacchio.
Non ha stravolto la proposta, Gritti. Ha preso in mano in punta di piedi la carta che già esisteva, ingentilendola, mettendoci sempre di più la sua mano ma gradatamente, lasciandosi il tempo di prendere confidenza con le materie prime a disposizione. «Ho cominciato a plasmare il mio conoscere sui piatti che sarebbero dovuti uscire, in sostanza, perché sono arrivato giusto prima della stagione di matrimoni e celebrazioni, quando i menù erano già fissati. Ho portato i miei 15 giorni di esperienza – scherza Gritti - anche nell’organizzazione e nella riduzione degli sprechi, oltre che nella presentazione dei piatti e nella ricerca dell'eleganza del gusto. Mi trovo bene per tantissimi aspetti: sono soddisfatto perché sono riuscito a dare il mio apporto positivo, non il mio nome e basta».
Ha una conoscenza sconfinata della materia, Gritti. È autodidatta, ma curiosissimo. Ha imparato dai libri, sul campo (33 anni di professione) e nei campi (nonché negli allevamenti). Ha girato il mondo per lavoro. La sue ricette nascono da questa passione innata. Il suo mantra? “La vera e buona cucina cucinata” come un atto cerebrale, una successione di pensieri che si traduce poi nell’esecuzione di un piatto. «Bisogna conoscere perfettamente caratteristiche e trattamento degli ingredienti – conclude Gritti - per immaginare cosa si vuole ottenere. Il cibo, prima ancora che del territorio, deve essere buono, sano, gustoso. Deve poter diventare un’opera d’arte. Il gusto della semplicità non è mai banalità, piuttosto autenticità, troppo spesso dimenticata nel nome di qualche tendenza passeggera. Il nuovo è ritornare all’antico e solo scoprendo le migliori materie prime potremo riuscirci».
Anche nelle tecniche di cottura ha una cultura multiforme. Guarda alla tradizione ma anche all’innovazione e non disdegna cotture antiche, compresa la cottura in pentole di legno, un regalo che gli fece Gino Veronelli sfidandolo a trovare materie prime e ricette adatte a quei particolari contenitori. «Sono l’unico al mondo a usarli», assicura.
Roberto Vitali
Laureato in Lettere alla “Cattolica” di Milano, ho cominciato durante l’università a scrivere per il quotidiano della mia città, “L’Eco di Bergamo”, al quale – pur essendo oggi in età di pensione – continuo a collaborare sia sul cartaceo che sul sito web. Sono stato addetto stampa di enti pubblici, direttore di Teleorobica, direttore-editore del mensile “Bergamo a Tavola” (1986-1990) poi trasformato in “Lombardia a Tavola” (1990-2002) e poi venduto (oggi vive ancora trasformato in "Italia a Tavola"). Mi sono sempre occupato, oltre che della cronaca bianca della mia città, di enogastronomia e viaggi. Ho collaborato alla Rai-Gr1, vinto premi giornalistici in tutta Italia e scritto qualche libretto, tra cui “La cucina bergamasca – Dizionario enciclopedico” e una Guida dei ristoranti di Bergamo città e provincia. Mi piace l’Italia e tutto quello che di buono e bello sa offrire. Spero, con i miei scritti, di continuare a farla amare da tanti altri lettori. 338.7125981
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