All'Elba rivive il vino della Grecia antica

Un esperimento di enoarcheologia replica all'Elba le antiche tecniche vinicole dell'isola di Chio

Era un "segreto" degli isolani di Chio tenere l’uva per qualche giorno in mare ed eliminare la sostanza cerosa esterna, la pruina, per avere poi un appassimento più veloce e far mantenere al vino aromi e sostanze.Il viticoltore Antonio Arrighi ha fatto rivivere all’isola d’Elba queste metodologie antichissime, utilizzando l’anfora come vaso vinario e la macerazione delle uve in acqua di mare, alla maniera dei vini di Chio, ricordata da Plinio e dagli antichi georgici latini.

L’esperimento, partito con l’università di Pisa, da un’idea del professore ordinario di viticoltura dell’università di Milano Attilio Scienza, è stato documentato dal regista Stefano Muti in un corto presentato nei giorni scorsi alla rassegna Oenovideo di Marsiglia, vincendo due premi: miglior cortometraggio - a riconoscimento della qualità tecnico-artistica dell’opera - e quello della Revue des Oenologues, per l’originalità e il valore della sperimentazione. 

Un esempio di archeologia sperimentale - ha dichiarato il professor Scienza - che ci consente di ritornare alle origini, di capire perché questo vino è più famoso degli altri e di dare così risposte a molti interrogativi rimasti inevasi”.

Racconta Antonio Arrighi: “Ho un’esperienza nella produzione in anfora e l’Elba ha fondali bellissimi. Abbiamo utilizzato le ceste di vimini e l’Ansonica, un’uva resistente e originaria di quelle zone, un incrocio tra due vitigni dell’isola di Chio. L’abbiamo messa in profondità per alcuni giorni ed è stata proprio una ricerca, una prova per capire quanto potesse resistere. Siamo riusciti nel nostro progetto. L’uva è stata poi messa ad appassire sulle cannucce e successivamente in anfora. La quantità di sale presente dopo 5 giorni in mare ha permesso di evitare l’uso di solfiti: il sale ha fatto da antiossidante e conservante. A marzo, quando abbiamo assaggiato il vino con Attilio Scienza, ci siamo emozionati: è probabilmente un vino come usciva dalle cantine dell’isola di Chio, fino a questo passaggio identico a come lo abbiamo prodotto noi. Stiamo lavorando perché l’Elba torni ad avere lo spazio che merita: nella prima metà dell’ottocento era il principale produttore di uva della Toscana, con 5000 ettari presenti sul territorio. Il vino arrivava in Liguria e fino al sud della Francia”.

L’idea della tecnica dell’uva in immersione nasce dal professor Attilio Scienza, che l’ha illustrata ad Arrighi durante ElbAleatico. L’uva si tiene alcuni giorni in mare, in apposite “nasse” (ceste) di vimini, in modo che l’acqua elimini dagli acini la pruina: in questo modo si accelera il tempo di disidratazione dell’uva, portandola a perfetta maturazione; viene poi messa sulle cannucce ad asciugare e appassire, per essere in seguito vendemmiata nelle anfore. Per le ceste di vimini: Arrighi è andato in Sardegna a Castelsardo, dove ancora vengono realizzate dai pescatori. A metà settembre 2018 è stata raccolta l’uva: le nasse sono state posizionate a una profondità di 7 metri su un fondale di 10, in mare aperto, ma vicino al porto di Porto Azzurro. Con l’aiuto di sub sono state sospese e legate ad una catenaria posata sul fondo per impedire l’oscillazione dei contenitori, in modo che le correnti (utili ad eliminare la pruina) non influissero sulle nasse e ogni mattina un campione è stato issato e controllato per vedere lo stato dell’uva. I primi giorni si presentava molto dura e coperta da una patina composta da una sostanza che si forma sull’acino a difesa del salino del mare, scomparsa una volta messa l’uva al sole. Arrighi per questo esperimento non ha utilizzato solfiti: unico disinfettante antiossidante, il sale.

Al momento il vino non risulta ancora adatto ad essere commercializzato, nonostante le numerose richieste giunte. L’esperimento sarà ripetuto nel 2019, apportando alcune modifiche per perfezionare il metodo; sarà anticipata la raccolta dell’uva per immergerla nelle acque ancora estive, godendo quindi di un maggior calore solare.

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Alessandra Moro

Alessandra Moro

di radici friulane, è nata a Verona sotto il segno dei Pesci. Ha un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso.
Giornalista dell’ODG Veneto, lavora nel mondo della comunicazione stampa & tv; già collaboratrice per Corriere Veneto e per L'Arena - nelle pagine dedicate a cultura e spettacolo e al gusto - e per riviste di settore, ricopre da anni anche incarichi di ufficio stampa, ora insieme a Emma Sofia che, nata nel 2010, è diventata la più vicina, imprescindibile assistente.
Appassionata lettrice ed appassionata cuoca, adora i formaggi (abbinati ai vini).

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