Goloso e Curioso
Penacio, tradizione berica declinata con buongusto

Penacio, tradizione berica declinata con buongusto

Davvero curioso il nome: Penacio. L'arcano è presto svelato: Penacio era il venerato bue di famiglia che i Gianello nell'immediato dopoguerra utilizzavano come trattore. Quando entrava con incedere maestoso nei campi di mais le sue corna spuntavano sopra i «penaci» delle piante di granoturco. E da lì il nome, che poi è stato mutuato dalla storica osteria di Soghe, poco sopra Arcugnano e poco lontano da Nanto, raggiungibile attraverso la suggestiva strada panoramica degli ulivi.

 Penacio sorge nella parte alta dei Berici, a quattrocento metri di quota, dove l'aria è fresca anche d'estate. Già negli anni Settanta l'osteria fece il salto di qualità, seguendo la nouvelle vague della ristorazione berica. L'affermazione è venuta subito, o quasi. E si è rinnovata in anni più recenti, quando il locale ha assunto l'attuale stile, un minimal ante litteram, con qualche tocco forse un po' troppo moderno per un'osteria, ma reso caldo dalla presenza di due caminetti e dai colori intensi delle pareti. La fortuna di Lino e Luigina, i titolari, è stata quella di mandare a suo tempo in Francia i figli Enzo e Imera per un'esperienza formativa che lascia il segno. Dare un tono nuovo al locale, una volta ritornati i ragazzi, è stato poi gioco facile.

 Oggi è rimasta solo Imera al Penacio, con il marito Roberto che la aiuta in cucina e la figlia Nikky che ha messo i galloni per la sala, capendo fin da subito che sorriso e cortesia pagano sempre. Conquistano il cliente. Lo mettono a proprio agio. L'altro figlio Dimitri, un tempo in servizio accanto ai genitori, ha aperto tre anni fa un locale per conto suo ad Altavilla, vicino a quello dello zio Enzo che con L'Altro Penacio, nel frattempo, ha dato altro lustro alla famiglia. Il bello è che alcuni piatti must sono comuni fra Penacio di Soghe e L'Altro Penacio di Altavilla: vedi il gelato mantecato alla nocciola, una delizia vellutata che a fine pasto è una dolce chiusura.

 L'osteria da Penacio si conferma un presidio del buon gusto in terra berica. Non a caso è sempre il baccalà il piatto simbolo, il più richiesto. Alla vicentina, o mantecato.

 Nel corso della nostra visita odierna solo conferme, anzi abbiamo riscontrato un pizzico di vivacità in più. Caminetti accesi, tavoli ben preparati. Una raffinatezza essenziale che non fa rimpiangere i vasetti di fiori. Subito il benvenuto: una vellutata di verza con riso nero e un Durello di Marcato, il Prandi (buona acidità). Fra gli antipasti scegliamo uno dei piatti fuori menù: il salame fresco ai ferri scottato, con un tocco di aceto, la polenta abbrustolita e il radicchietto di Asigliano. Un piatto di stagione che parla alla memoria, che fa ricordare i tempi in cui nelle campagne questo era il tempo per gustare le prime bontà insaccate del maiale appena ucciso. Buono anche l'antipasto a base di carciofo: una crostatina di pasta brisè salata al Parmigiano con squacquerone (di pasta brisè anche il cucchiaino).

 La vera sorpresa arriva con i primi: la calamarata alla carbonara di polpo, bell'equilibrio di gusto e perfetta "mantecatura". Il risotto con il tartufo nero dei Berici non è una novità, ma non lo si può tradire. Piccolo assaggio anche dei bigoli al broccolo fiolaro di Creazzo con pancettone e filetti di alici. Tanti prodotti vicentini, dunque. Piatti della tradizione e piatti anche innovativi, come si conviene a un locale che non si ferma al "già noto". Tra i piatti fuori menù incuriosiva la carne Tomahawk, un singolare incrocio fra Kobe e Angus australiano. Ma per assaggiarla quella bisteccona morbida e tentatrice, cotta con maestria alla brace del camino, sarebbe stato necessario sceglierla come piatto unico. Non si può dire di no, invece, all'Asiago stravecchio di malga del 2013 che "passa" sul carrello: basta un frammento per apprezzarne la stagionatura.

 Frittelle di carnevale e poi l'immancabile gelato alla nocciola che "scivola" dolce sul palato (guai a toglierlo dal menù! E teatrale l'idea di portarlo anch'esso sul carrello). Infine il caffè. Cucina che conferma tutto il suo valore. Piace anche il modo di proporsi: Imera ama il basso profilo, ama quel tocco di umiltà che è tratto caratteristico delle genti venete di collina, pur potendo vantare quella preziosa esperienza maturata in Francia. Nel marito ha trovato la spalla giusta, perchè Roberto Mattiello ha dei buoni fondamentali. Dà sicurezza. Insomma, l'impressione è che il Penacio di Soghe possa guardare al futuro con rinnovate ambizioni di successo. Fascia di prezzo 35-40 euro.

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RENATO MALAMAN
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RENATO MALAMAN

RENATO MALAMAN

Cura il blog "Salsa & Merende" nel quotidiano "Il Mattino di Padova" di cui è stato redattore fino al 31 dicembre 2016. Del quotidiano, con cui ha iniziato a collaborare nel 1978, è stato titolare dal 2001 della rubrica di enogastronomia "Gusto", ora confluita nel blog personale (su www.mattinopadova.it) dedicato all'attualità del Food and Wine veneto e non solo.
Coautore di  numerose pubblicazioni nel settore enogastronomico e collaboratore di varie riviste, dal 2004 è ispettore della guida "Ristoranti d'Italia" de L'Espresso. Ha curato la guida "Padova nel piatto" e attualmente dirige la collana "Italia nel piatto" dell'editore Il Poligrafo.
Tra i riconoscimenti ottenuti spicca l'assegnazione di due premi "Penna d'Oca" (edizioni 2005 e 2011), premio biennale promosso da Unioncamere del Veneto. Per quanto riguarda il turismo ha visitato finora 111 paesi del mondo. Fa parte del Gist, associazione della stampa turistica di cui ha ricoperto la carica di delegato regionale e consigliere nazionale. Ha al suo attivo anche una spedizione umanitaria via terra in Guinea Bissau.

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