Goloso e Curioso
La Galzega del riso di Minerbe

La Galzega del riso di Minerbe

Il territorio - Il delta del Po, dove oggi si vedono pescatori e si trovano vongole, un tempo era terraferma coperta di risaie; nella provincia veronese si coltivava riso fino alle porte della città, a Montorio, come a Peschiera del Garda e nella capitale veneta degli agnolini (così i tortellini si chiamano da secoli in quest'angolo di Veneto), Valeggio sul Mincio. Un habitat ideale, ricco d’acqua e d’argilla; così anche a Minerbe, dove fino alla metà del secolo scorso si contava oltre un migliaio di campi coltivati a riso, prima il vialone gigante, poi, poco prima della metà del ‘900, il vialone nano, una varietà quasi esclusiva delle province di Verona, Mantova, Rovigo, Vercelli, Pavia e Milano.

Le mondine - Pagate meno degli uomini ma con ore di lavoro quotidiano in più, le mondine - donne costrette ad “emigrare” periodicamente a causa della crisi economica e della crescita demografica, come ha magistralmente raccontato Giuseppe De Santis in Riso amaro – faticavano dall’alba al tramonto: sveglia alle quattro per iniziare alle cinque, con le gambe perennemente in acqua, esposte alle punture di tafani e zanzare, le mani nel fango per “mondare”, pulire, le piantine di riso, al freddo ai primi di maggio, all’afa e al caldo in giugno e luglio, colpite spesso da febbri malariche.

La coltura - Per questo delicato cereale, prima di arrivare alla semina era necessario preparare il terreno, facendo attenzione a spianare, livellare, dividere in “quadre” (o pezze) ed inondare d’acqua i campi con estrema cura. Per delimitare le “quadre” si utilizzava un cavalletto, la “stada”, formata da un tre piedi con al vertice un palo cavo, alle cui estremità erano appesi due contenitori di vetro (i barattoli di magnesia del tempo), riempiti d’acqua nera, che consentivano di mantenere a bolla palo e barattoli. Di fronte alla stada era posto un picchetto che veniva poi alzato o abbassato, secondo la necessità di togliere o riportare terra per livellare la pezza. Una volta individuata la giusta misurazione, quel punto risultava un “caposaldo della pezza” e veniva contrassegnato da una “rama”. Altro accorgimento era quello di creare lungo il terreno un solco ogni 8-10 metri, che serviva da scolina.

Diversamente da altre province dove la semina del riso avveniva nei vivai e quindi in risaia veniva trapiantata la piantina già cresciuta, nel veronese i semi, che corrispondevano al risone raccolto l’anno precedente, venivano presi da un cesto, il “toman” e gettati “a spaglio” direttamente in risaia dai contadini. Il periodo migliore era quello tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, più precisamente intorno al 25 aprile (San Marco). Tutto avveniva sotto l’occhio vigile della “spia”, incaricata di dare indicazioni ai contadini, perché non venisse tralasciato neanche un centimetro di terra durante la delicata fase.

Prima di seminare, i sacchi colmi di risone venivano messi a bagno tre, quattro giorni nei fossi, sia per accelerare la crescita del seme grazie all’umidità, sia per far appesantire il prodotto che, in questo modo, rimaneva in fondo al terreno senza galleggiare. A questo punto, veniva liberato anche il pesce, ospite di tutto rispetto delle risaie, per la sua funzione di potente e naturale antiparassitario durante il periodo di crescita del cereale e come fonte di cibo sano, una volta pescato.

La piantina nasceva in circa otto, dieci giorni. Fino alla raccolta, agli inizi di ottobre, era necessario eliminare le erbacce o “strapiantar” le piantine che non avevano trovato la posizione più consona: la “monda” del riso, che avveniva verso la fine di luglio (Sant’ Anna), come ricorda il detto “a Sant’ Ana el riso el va in cana”, assume cioè la forma di una “botesela”, perché si è ingrossato ed è pronto per liberare la spiga. E anche per questa operazione occorrevano le abili mani delle mondine.

La raccolta - Asciugate le risaie dalle acque provenienti dal Sarego (o “la Sarega”), dopo aver raccolto il pesce che prosperava, si procedeva col “medere” a mano, col seghetto, le piantine di riso, disponendole in “faie” (mucchi), legati coi “balzi” (sorta di spaghi naturali ottenuti con un tipo d’erba “la careza” intrecciata); il mucchio di faie veniva poi diviso in “crosette”, facendo attenzione che l’apice delle piantine fosse sempre posto all’interno per essere protetto e quindi lasciato a terra, riparato così dalla eventuale pioggia. Successivamente le crosette venivano caricate con barelle di tela su piccole imbarcazioni (di circa 6-8 mt) e portate direttamente in corte grazie ai canali di irrigazione, i “barcagni”, che, nei pressi del molo, si allargavano consentendo, dopo lo scarico, agevoli manovre ai barcaioli. Dalle barche il riso veniva scaricato sull’aia e, tagliati i balzi, le faie venivano inserite con le punte per prime all’interno della trebbia da riso, che funzionava a vapore, e lì passavano attraverso il “battidore”, per separare automaticamente i chicchi dalla “paia”. Questa veniva portata con carretti nelle “balare” (zone destinate alla raccolta della paglia anche di altri cereali), mentre i chicchi ricoperti ancora dalla “bula” (buccia) venivano stesi sull’aia e fatti essiccare; questa operazione poteva durare dai tre ai sette giorni, a seconda delle condizioni climatiche. Durante la permanenza sull’aia del riso, in caso di pioggia era necessario ricomporre le grandi quantità stese in un mucchio facilmente copribile coi teloni; poi, col ritorno del sole, si procedeva all’inverso: al lavoro uomini, donne e bambini.

Per completare, il riso, asciutto, si misurava coi “minali” (grossi contenitori a forma cilindrica in ferro o legno che corrispondevano a circa 25 kg,) e si registrava la quantità prodotta, sotto la direzione del castaldo, l’uomo di fiducia del “paron”, che soprintendeva a tutti i passaggi finali, scelto proprio per il suo colpo d’occhio e il suo rigore.

Come in una lenta e suggestiva processione, lungo la scala interna del palazzo nobile di Corte, le donne con un minale sulle spalle e gli uomini con due salivano fino al granaio del palazzo (il “paradiso”) per lasciare a riposare il riso, sotto la custodia del “granararo”. Da lì, sarebbe stato rimosso in quantità scrupolosamente controllata, al verificarsi della giusta occasione, che il proprietario doveva trovare in qualche mercato.

Ed ecco, finalmente, il tempo della galzega sull’aia, la festa che compensava una lunga stagione di fatica.

 

La Galzega del Riso: dalla festa di fine raccolto prende il nome l’encomiabile iniziativa promossa dal comune di Minerbe (VR), con il patrocinio di regione Veneto e provincia di Verona, e grazie al contributo della riseria del basso veronese Grazia di Minerbe. L’elogio va al valore culturale di una manifestazione che, prima di riempire i piatti dei visitatori, mira a nutrirne le menti, rievocando, il 2, 3 e 4 settembre prossimi, la tradizione agricola dei luoghi, legata alla coltivazione del riso, nella cornice sociale  fatta di “paroni, mondine, castaldi, granarari, foresti e spie”. In calendario visite guidate, mostre, degustazioni, spettacoli. Durante i tre giorni il Pala Minerbe ospiterà uno stand gastronomico con menù a tema: risotti, polenta di riso e torta di riso, abbinati a prodotti locali come il “pessin” e la soppressa; primo appuntamento venerdì 2 alle 18 con l’apertura della mostra fotografica che ripercorre la vita delle mondine; alle 21 al Pala Minerbe andrà in scena il cantastorie Otello Perazzoli con “Le cante del filò”.

Sabato 3, alle 11.30, in Sala Civica, verrà presentato alla cittadinanza il progetto di riqualificazione dell’antica via delle pile e dalle 16.30 in poi, in piazza IV Novembre,  rinascerà l’atmosfera del mercato del ‘900: una rigorosa ricostruzione storica e filologica con artigiani e venditori, ad opera di sessanta figuranti della compagnia “Le Arti per Via” di Bassano del Grappa. Alle 21 canti e balli con  Il gruppo folkloristico “El Paiar” di Bovolone.

Domenica 4 lo stand gastronomico sarà aperto anche a pranzo e alle 14.30 tutti in bici per la pedalata guidata lungo la “via delle pile”: partenza dalla riseria Grazia e arrivo a corte Comuni, dove il pubblico troverà figuranti di antichi mestieri, un’ esposizione di giochi e arnesi di un tempo e rinfresco con prodotti a base di riso, a cura del gruppo promotore iniziative di S. Zenone. Per l’occasione l’antica pila sarà rimessa in funzione. Gran finale alle 21 al Pala Minerbe, con il concerto delle Mondine di Novi.

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di radici friulane, è nata a Verona sotto il segno dei Pesci. Ha un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Giornalista dell’ODG Veneto, lavora nel mondo della comunicazione stampa & tv; già collaboratrice per L'Arena nelle pagine dedicate a cultura e spettacolo e al gusto, per il Piccolo e per riviste di settore, lavora anche come ufficio stampa insieme a Emma Sofia… che, avendo solo un anno, è diventata la più vicina, imprescindibile assistente.  Appassionata lettrice ed appassionata cuoca, adora i formaggi (abbinati ai vini).

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