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ADDIO A BEO TESSARI, PATRIARCA DEL SOAVE

ADDIO A BEO TESSARI, PATRIARCA DEL SOAVE

Era il patriarca del vino veronese. Fulvio "Béo" Tessari, uno dei profeti del Soave e fondatore dell'azienda agricola Ca' Rugate di Montecchia di Crosara, è morto nella sua casa di Brognoligo, il paesotto in una cui contrada, Rugate, era nato nel 1915 e dove aveva iniziato la sua splendida avventura enologica. Quando lo incontrai qualche anno fa, già ben oltre i 90 anni, guidava come un fulmine la sua Fiesta rossa sui sentieri tra le vigne e. vanga in spalla come quand'era giovinotto, girava di vite in vite con occhio attento a mettere la sua "firma".
Aveva una memoria di acciaio temperato. Era una miniera d'informazioni sulla storia di un secolo di vitivinicoltura dell'est veronese. Ricordava bene il tovo, il tufo che c'era (e c’'è tuttora) ovunque intorno a Rugate, la contrada natìa che affonda le fondamenta, come fanno le radici delle viti del territorio intorno, in antiche, gigantesche, colate laviche. Era uno dei pochi uomini che hanno saputo coniugare il passato dell’'enologia col futuro, traghettandola dal XX al XXI secolo.
Fulvio «Bèo» (bello) era cresciuto nel vigneto. A 5 anni portava il vino agli operai che, in inverno, lavoravano un’'intera giornata di piccone, scalpello e mazza per scavare nel tufo la buca dove mettere a dimora una vite; a 11 zappava già come un uomo per togliere le erbacce; a 17, pompa di verderame in spalla, zolfarava interi filari. Ma che uve. Che vino. Garganega e Torbiana. Allora il Soave si faceva così. «Si produceva solo vino bianco», ci raccontò in quell'incontro, «che zio Arturo portava col carretto e la botte da 4 quintali alle osterie di San Bonifacio, San Martino, San Michele, Albaredo». Buono? «Ho sempre fatto vino buono. Se no, non lo vendevo». È «zio Arturo» a far da papà a Fulvio: il babbo, Amedeo, morì che lui aveva tre anni. Quando si dice il destino: Amedeo morì per ferite il 4 novembre 1918, giorno in cui finiva il primo conflitto mondiale.
Bèo, uomo del vigneto, patriarca del vino veronese,  nacque astemio. Ma come fa, gli chiesi, un astemio a fare il vino buono? «Semplicissimo", rispose come se fosse cosa ovvia, "basta fare buona l’'uva. E io la producevo stupenda. Ricordo che c'’erano fili di piante, frassini e ontani, e tutt’'intorno c’'erano le vigne. Che grappoli meravigliosi, cinque-sei chilogrammi per pianta. Garganega e tanta Torbiana che dava grado. Pensate che le bottiglie che mamma Adele e zio Arturo avevano messo da parte quando sono nato, le abbiamo bevute decenni dopo. Un vino stupendo».
Ma come fa a giudicare se non ne ha mai bevuto? «Non è così. Sono nato astemio, ma poi mi sono convertito. La prima volta alla festa dei coscritti a Brognoligo, ma la vera svolta avvenne quando ero prigioniero in Francia, nel ’43, sulle colline in Costa Azzurra, dove facevano un gran buon vino. Bianco. Meglio del Soave. Coltivavano le vigne rasoterra: ognuna con cinque o sei grappoli che si appoggiavano sul terreno. Ho continuato a bere vino, con moderazione e solo a pasto, una volta tornato a casa dopo essere scappato dalla prigionia. Ma ripeto: il vino buono nasce nel vigneto. Bisogna fare l’'uva buona. Poca ma buona. E non abbandonare mai il mosto. Filtrare, filtrare, filtrare. Trattarlo come un toseto, un bambino. Che Soave ne usciva. Che Vin Santo facevo per casa. Ho fatto presto a farmi i clienti, e senza rappresentanti. Ho prodotto anche il Recioto. Un amico mi insegnò come fare e io provai. Anno dopo anno mi è venuto sempre meglio. Tanto che quando andavamo al mare, mi davano l’'appartamento gratis in cambio del Recioto».
Dopo la guerra, scocca il colpo di fulmine per Rina, che sarà sempre al suo fianco, e la grande passione per l’agricoltura. Fu tra i primissimi a scommettere sui vigneti, in anni cui in pochissimi lo facevano e tagliavano le viti per altre colture. La prima svolta arriva nel 1955 quando Beo decide di fare da solo (senza più conferire l’uva alla cantina sociale), e da Rugate trasferisce casa e cantina in un luogo più grande, a Brognoligo. Un altro cambio di passo arriva con l’impegno in azienda del figlio Amedeo che porta il vino in giro per l’Italia e all’abbandono della vendita in damigiana, che ha caratterizzato gran parte del commercio enoico italiano nel secondo Dopoguerra. All'epoca del nostro incontro Fulvio Tessari manifestò tutto il suo orgoglio per Ca’ Rugate, l’'azienda realizzata dai figli Amedeo e Gianni in via Pergola 36, a Montecchia di Crosara, ed ora condotta dal nipote Michele che porta avanti l'azienda con moderna managerialità, ma rimanendo sempre sui sentieri del nonno. La prima vendemmia della nuova azienda dei Tessari è stata nel 2002.
Fulvio Tessari ricordava gli eroici tempi enoici: «Mostavamo coi piedi il mosto-fiore nella tinozza. Il vino si caricava sulla brentina sulle spalle. Questa nuova azienda è impressionante. Non mi pare nemmeno vero che siamo arrivati a tanto. Io ho cominciato, ma anche loro, figli e nipoti, sono stati bravi». A 97 anni guidava ancora la sua Fiesta e si presentava sempre in azienda a «sentire le cose». E a dare consigli. Era o non è il patriarca? Era o non era il secolare ceppo di vite della famiglia? Sottolineava compiaciuto, prendendosi la sua parte di merito: «Ne prende di premi mio nipote Michele: quante volte ha avuto i Tre bicchieri del Gambero Rosso col "Monte Fiorentine". Ah, che Soave, che Soave. Lo facciamo buono perché l’'uva è buona".
Il secolo di vita di Fulvio Tessari e la storia di cent'anni di storia del vino è testimoniato nell’Enomuseo a Ca’ Rugate, un’esposizione di oltre 150 strumenti e attrezzi usati dalla famiglia Tessari nel secolo di attività vitivinicola. Voluto fortemente dal nipote Michele, ambientato in una casa contadina del Primo Dopoguerra, documenta il percorso produttivo del vino, dall’arrivo dell’uva nell’aia, fino all’invecchiamento e imbottigliamento all’interno della caneva, la cantina. È la testimonianza che la forza del presente nasce da solide radici nel passato, capaci di volgere lo sguardo al futuro. "Nonno Fulvio vendemmia ora nella vigna del Signore", ha detto Michele. Con quell'uva così buona chissà che Soave farà il vecchio Tessari.

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Morello Pecchioli
Addio a beo tessari, patriarca del soave

Morello Pecchioli

Morello Pecchioli

Direttore di Golosoecurioso. Giornalista professionista. Archeogastronomo. È stato caposervizio del giornale L’Arena di Verona. Ha scritto i libri “Il Bianco di Custoza”; “Il rosto e l’alesso, la cucina veronese tra l’occupazione francese e quella austriaca”; “Berto Barbarani il poeta di Verona”. Scrive per la rivista nazionale dell'Associazione italiana sommelier "Vitae", per "Il sommelier veneto" e per il quotidiano nazionale La Verità diretto da Maurizio Belpietro. Ha collaborato, con Edoardo Raspelli, alla Guida l’Espresso. È ispettore della guida "Best gourmet dell'Alpe Adria". Ha vinto i premi Cilento 2006; Giornalista del Durello 2007; Garda Hills 2008. Nel 2016 ha avuto il prestigioso riconoscimento internazionale Premio Ischia per la narrazione enogastronomica. Nel 2016 ha scritto il libro "Le verdure dimenticate" e nel 2017 "I frutti dimenticati", pubblicati entrambi da Gribaudo. Sempre per Gribaudo ha scritto "Il grande libro delle frittate". In collaborazione con Slow Food ha pubblicato nel 2018 il volumetto sul presidio "Il broccoletto di Custoza".
Indirizzo mail: morello.pecchioli@golosoecurioso.it

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